LE INTERVISTE

ALBERTO SINIGAGLIA: IL ‘SUO MONDO’ E IL GIORNALISMO CHE VERRA’

Guido Barosio

“Ero un ragazzo fortunato perché in casa si leggevano, oltre al Gazzettino di Venezia, il Corriere della Sera, La Stampa e Il Mondo”

Nella vita umana e professionale di un giornalista accade di segnalare percorsi e coincidenze che solo apparentemente possono sembrare casuali. Sono incontri che segnano la rotta, destini incrociati che lasciano un segno riconoscibile nei protagonisti, ma ancora di più nelle mente dei lettori. Con Il Mondo di Mario Pannunzio e la sua storia è intrecciata la vita di Alberto Sinigaglia, presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte. Veneziano, entrato molto giovane a Epoca, vi aveva conosciuto Arrigo Benedetti, che firmava la rubrica ‘I tempi’ su Panorama, il nuovo settimanale della Mondadori. Il rapporto si fece presto famigliare anche grazie ad Alberto Benedetti, il figlio fotografo, spesso in servizio con Sinigaglia, il quale si trovò a vivere da vicino la rinascita de Il Mondo, che Arrigo rifondò a Firenze nel settembre 1969, un anno dopo la morte di Pannunzio, suo coetaneo concittadino e fraterno amico.  Approdato nel 1970 a La Stampa, Sinigaglia trovò o accolse altri pannunziani, per i quali Il Mondo era stato pulpito prestigioso o scuola formativa. Gli sarebbero stati fondamentali consiglieri nel 1975, alla fondazione del settimanale Tuttolibri, del quale si era trovato a essere il primo timoniere.

Che ricordi hai del giornalismo ai tempi de Il Mondo di Pannunzio?

“A quei tempi ero un ragazzo fortunato perché in casa si leggevano, oltre al Gazzettino di Venezia, il Corriere della Sera, La Stampa e Il Mondo. Entravano più casualmente i settimanali L’Europeo, Epoca, Tempo, Oggi.  Scoprii la terza pagina, sulla quale La Stampa e il Corriere ospitavano articoli scritti benissimo e firme note. Anche quella del Gazzettino era eccellente. Il Mondo mi sembrava una terza pagina elevata a potenza. Si percepiva una gara tra giornali a essere i migliori. Persino nella qualità della carta, nella nitidezza della stampa, nella scelta delle fotografie”.

Quali personaggi secondo te sono stati strategici nella storia di quella grande pagina di giornalismo italiano?

 

“I direttori come Mario Missiroli e Alfio Russo al Corriere, Giulio De Benedetti a La Stampa, Italo Pietra al Giorno, Arturo Tofanelli al Tempo, Nando Sampietro a Epoca, Arrigo Benedetti all’Europeo e all’Espresso, Lamberto Sechi a Panorama, da lui trasformato in settimanale nel 1965. Gli editori come Arnoldo e Alberto Mondadori, i Crespi, Angelo Rizzoli, Gianni Mazzocchi, Aldo Palazzi, capaci di amore per il giornalismo, di progetto, di passione, di rischio, com’è previsto per qualsiasi impresa. Pannunzio è figlio di quell’epoca, con Il Mondo ne interpreta le regole migliori. Oggi non troverebbe lavoro”.

Ne hai conosciuti?

“A Milano li ho conosciuti quasi tutti. E avrei trovato Il Mondo in carne e ossa con Arrigo Benedetti. Successivamente ne avrei trovato pure a Torino, con altri collaboratori cari a Pannunzio: Alberto Ronchey, il direttore che mi assunse e che continuava a scegliere le foto come faceva il Mondo; Arturo Carlo Jemolo che de La Stampa era una firma-bandiera; Giovanni Spadolini, diventato nostro collaboratore appena lasciata la direzione del Corriere; gli inviati Igor Man e Furio Colombo, che aveva debuttato su Il Mondo, come Alberto Arbasino, altro pannunziano  tra i miei amici di una vita. Non erano figli de Il Mondo Enzo Biagi, per 21 anni legato a La Stampa, e Indro Montanelli, che vi aveva trovato ‘asilo politico’ nel 1973, quando fu licenziato da Piero Ottone. Ma sugli aspetti essenziali del giornalismo avevano le stesse idee”.

Cosa ci puoi raccontare del tuo rapporto con Arrigo Benedetti?

“Quando lo conobbi ero alla scuola di due grandi direttori, Nando Sampietro e Lamberto Sechi, e di tanti colleghi, tra i quali ricordo in particolare Giuseppe Grazzini a Epoca, Gianluigi Melega a Panorama. Frequentavo il Corriere: Alberto Cavallari, Piero Ottone, Egisto Corradi, Gaspare Barbiellini Amidei. Ero entrato in confidenza con due donne eccezionali: Camilla Cederna e Oriana Fallaci. Dopo la cena da ‘Rigolo’ si andava sempre in via Solferino dal capocronista Franco Di Bella a sentire le ultime notizie.  Ma Arrigo Benedetti era il mito: con Pannunzio aveva fondato Oggi, nel dopoguerra aveva creato L’Europeo,  l’inviato Tommaso Besozzi aveva scoperto la verità sul bandito Giuliano tra mafia, politica e servizi deviati. Nel 1955 aveva fondato L’Espresso, con quel famoso titolo in prima pagina, ‘Capitale corrotta = nazione infetta’, sotto il quale Manlio Cancogni denunciava la speculazione edilizia a Roma. Il mitico fondatore di quelle due scuole di giornalismo investigativo divenne più mitico quando un giorno mi disse: Perché non viene da me sabato a Firenze a vedere come rinasce Il Mondo?”

Qual era la sua visione del giornalismo?

“Il giornalismo come pubblico servizio da esercitare con onestà e rigore, ostinata verifica delle notizie, rispetto del lettore fin dal linguaggio semplice e chiaro, banditi cinismo, demagogia e volgarità. Era la visione dei padri fondatori del giornalismo italiano, Alfredo Frassati, Luigi Albertini, Alberto Bergamini. Giulio De Benedetti ne è stato interprete più a lungo di tutti e con maggiore successo. Benedetti e Pannunzio vi avevano aggiunto lo spirito polemico e anticonformista di Leo Longanesi, con il quale avevano lavorato a Omnibus. Uno spirito che i grandi quotidiani non potevano permettersi, i settimanali sì e portava loro fortuna.  L’altra differenza era che i quotidiani dovevano badare all’equilibrio con la funzione e con l’immagine popolare del giornale. Il Mondo era nato per un pubblico medio-alto e per quello rinasceva. Acquistandolo, Rizzoli non voleva perdere soldi, semmai farne. Impose un’altra formula e perse De Benedetti”. 

Cosa manca al giornalismo di oggi per avvicinarsi a quella grande stagione culturale e professionale?

“Mancano tante cose per una serie di mutamenti tecnologici e sociali, ma anche di errori compiuti dai giornalisti e dagli editori. Il giornalismo italiano era in difficoltà  ben prima della crisi economica che dura dal 2009. E l’incalzare di Internet ha peggiorato la situazione portando a nuovi errori. L’errore più grave è stato la progressiva perdita di qualità”.

Come mai la stampa periodica, più delle altre, è andata in crisi?

“I settimanali si facevano strada a colpi di inchieste. Servono soldi per far viaggiare un giornalista e dargli il tempo di indagare a fondo.  Non ce ne sono o non c’è più chi vuole spenderne”.

La rete, con la sua rivoluzione digitale, ha modificato completamente gli scenari. Che giornalismo ci aspetta?

“La società corre un pericolo crescente: l’illusione di essere informata attraverso i social e il telefonino che tutti hanno in tasca la rende preda facile dei manipolatori della pubblica opinione. L’unico antidoto alle manipolazioni e alle  fake news è il giornalismo. Il suo futuro si giocherà sulla qualità e sulla capacità d’inchiesta che saprà trasferire anche sulla rete”.

Oggi esiste molta confusione nei ruoli e i giornalisti free lance patiscono particolarmente la concorrenza di blogger e influencer, che possono operare senza regole e senza barriere. Come si può affrontare questo problema?

“Tocca alla politica e ai legislatori affrettarsi ad affrontare il problema e a stabilire le regole. All’Ordine dei giornalisti aiutarli con le proprie competenze, ma anche provvedendo a più severe condizioni di ingaggio delle nuove leve. A entrambi coinvolgere gli editori perché la riforma dell’informazione e della comunicazione sia un grande progetto comune. I prossimi anni saranno decisivi. Il giornalismo dovrà essere competente, affidabile, autorevole”.

Consiglieresti ad un giovane la nostra professione?

“Certamente. Non c’è mai stato tanto bisogno di giornalismo consapevole delle propria missione: essere il garante di una società libera e informata. A noi occorre quanto serve al medico, all’avvocato, all’ingegnere: vocazione, preparazione, onestà, senso morale.  Ma sovente molto di più. Se lo sai, coraggio: a farlo bene, resta uno dei più bei mestieri del mondo”.