POLITICA

A 100 ANNI DALLA NASCITA DEL PCI

Salvatore Vullo

Oggi vediamo come è mal ridotta la sinistra in Italia. E come è mal ridotta l’Italia.

La conclusione della Prima Guerra Mondiale, nel 1918, lascia l’umanità nella, forse, più  terribile situazione mai registrata nella sua storia. L’Italia paga un prezzo altissimo: 650.000 morti militari e 589.000 vittime civili, su un totale mondiale di  quasi 17 milioni di morti (tra militari e civili). A queste vittime si aggiungono quelle della pandemia da influenza “Spagnola”, che si sviluppa tra il 1918 e il 1920, che sono circa 50 milioni di persone nel mondo, di cui circa 600.000 in Italia. In tale contesto, nel 1917 inizia il collasso della Russia zarista  e con la rivoluzione dei bolscevichi, guidati da Lenin, nasce l’Unione dei Soviet, il primo stato comunista dove si impone la dittatura del proletariato. Dunque, la fine della guerra trova l’Italia, pur nazione vincitrice, in una disastrosa situazione economica e sociale, frustrazioni, disagi, disoccupazione, fame e miseria, che daranno vita a un lungo periodo di scioperi, tumulti, assalti ai latifondi nel sud, con l’occupazione delle terre; nel nord, agli scioperi e tumulti, seguono le  occupazioni delle fabbriche dove si insediano i Consigli di fabbrica che, sull’esempio sovietico, si propongono di gestire direttamente le fabbriche. E’ quello che storicamente viene definito  “Il biennio rosso” ( 1919-1920), guidato dal Partito Socialista all’interno del quale, dopo la rivoluzione sovietica, si forma e cresce la componente comunista, che guarda a Mosca, e che, assieme alla componente “Massimalista” guidata da Giacinto Menotti Serrati, ne radicalizza l’azione politica. E ciò risulterà evidente nel congresso del Partito Socialista dell’ottobre del 1919, quando viene messo in minoranza la componente riformista di Filippo Turati, e domina la maggioranza tra comunisti e massimalisti che impone il legame con Mosca e l’adesione alla Internazionale Comunista (la Terza Internazionale), e conferma l’azione politica per fare anche in Italia la rivoluzione proletaria e la presa violenta del potere, come in Russia. Le elezioni politiche del 1919 segnarono il trionfo del PSI (primo partito con il 32,3%) e del Partito Popolare (20,3%), ma la scelta del PSI fu quello della lotta sempre più dura e di non governare e comunque di non fare nessun accordo di governo; questa radicalizzazione della politica e della lotta dei socialisti farà crescere il caos e l’ingovernabilità dell’Italia, dove comincia specularmente ad operare Benito Mussolini che nel 1919 fonda i Fasci di Combattimento e nell’anno successivo le squadre d’azione e quello che diventerà il Partito Nazionale Fascista e darà vita al regime Fascista. Ed è in tale contesto storico che Il 15 gennaio del 1921 si apre al teatro Goldoni di Livorno il congresso nazionale del Partito Socialista Italiano, che  si protrae fino al 21 gennaio, quando i comunisti, guidati, tra gli altri, da Amadeo Bordiga, Umberto Terracini, Antonio Gramsci, Angelo Tasca, Palmiro Togliatti (che non era presente), visto che non hanno raggiunto la maggioranza per decidere l’espulsione dei riformisti e imporre il termine comunista al partito, come prevede l’Internazionale comunista, decidono di fare la scissione dal PSI; quindi si trasferiscono subito  nel vicino teatro San Marco e costituiscono il Partito Comunista d’Italia. Un partito, che seppur minoritario rispetto al partito Socialista, vive e predomina, con la sua carica utopistica e rivoluzionaria, nel mito e col sostegno dell’Unione Sovietica e della Internazionale Comunista, attaccando e denigrando il socialismo riformista. Lo stesso avviene negli altri stati europei, come in Francia, in Germania, in Spagna, dove si formano i partiti Comunisti che egemonizzeranno la sinistra con il mito della lotta di classe e della dittatura del proletariato. Una situazione che, genera il fascismo, come accade in Italia, e innesca reazioni simili in Germania con il Nazismo, e più tardi in Spagna con il Franchismo. Del resto, le elezioni politiche del 1921, premieranno ancora una volta il PSI che sarà il primo partito con il 25% dei voti, ma che, sempre più massimalista e pressato dal nuovo partito comunista, confermerà la scelta di lotta dura e di rinuncia ad accordi di governo. Insomma quella politica del “tanto peggio-tanto meglio” che consegnerà l’Italia al fascismo. Il PCI, negli anni del fascismo, pur nella clandestinità, resta il partito più forte e organizzato, grazie anche al suo legame e sostegno organizzativo e finanziario di Mosca dove si era trasferito e viveva il segretario del PCI, Palmiro Togliatti, che era diventato uno dei dirigenti più autorevoli del Comintern e apprezzato da Stalin. La fine della seconda guerra mondiale, con gli accordi di Yalta, sancisce la divisione del mondo nei due blocchi: ad est il blocco dei Paesi comunisti, guidato dall’URSS, e l’ovest con le democrazie occidentali, tra cui l’Italia. Un fragile equilibrio, caratterizzato dalla “guerra fredda”. L’Italia si ritrova nell’alveo occidentale democratico, ma con un Partito Comunista forte e strettamente legato all’Unione Sovietica, che egemonizza la sinistra  con il patto di unità d’azione, rendendo debole e subalterno il PSI,

partito di grande potenzialità, ma fragile come organizzazione, con poche risorse finanziarie e sempre lacerato da scissioni, pulsioni massimaliste e in qualche modo affascinato dal mito sovietico, patria del socialismo, e di Stalin, eroe e grande protagonista nella sconfitta del nazismo. Il PCI dunque egemonizza la sinistra, ma incapace di proporsi come alternativa alla guida del governo per le sue posizioni ideologiche di derivazione marxista e legato al blocco comunista guidato dall’URSS. Un PCI sostanzialmente anticapitalista, refrattario al socialismo democratico che si affermava in tanti altri paesi dell’Europa occidentale, ma che rendeva la sinistra scarsamente influente in Italia, negli anni strategici della ricostruzione e della ripresa economica. Anche se ci sarà il processo di autonomia del PSI che nei primi anni ’60 entra nei governi di centro sinistra; autonomia che sarà ancora più marcata negli anni della segreteria di Bettino Craxi. Ma nel PCI il mito della rivoluzione, della lotta di classe, della lotta al capitalismo e soprattutto il legame con l’Unione Sovietica resterà quasi indissolubile. Neanche dopo gli errori e orrori del periodo  Stalinista denunciati dopo la morte di Stalin  da  Kruscev. E non ci sono condanne o cambiamenti sull’invasione sovietica dell’Ungheria nel 1956; lo stesso dicasi per l’intervento armato contro la Primavera di Praga  del 1968 e per l’intervento in Polonia contro Solidarnosc nel 1980, ed ancora, sulla questione degli euromissili, schierandosi con l’URSS che aveva già collocato i missili nucleari SS20. Posizioni che, pur con qualche espressione di dissenso, qualche distinguo o strappetto,  è comune a tutte le segreterie: da Palmiro Togliatti a Luigi Longo, da Enrico Berlinguer ad Alessandro Natta. Ed è emblematico il fatto che si arriva al 1989, quando crolla il Comunismo, e il PCI, poi PDS, Cosa 1, Cosa 2, PD, non esprime nessuna autocritica, nessuna presa di distanza da quella storia. Insomma i comunisti e i post comunisti, che rappresentano la sinistra e sono elemento dominus della seconda Repubblica, i conti con la propria storia (il comunismo crollato nel 1989 e sul quel congresso del 1921 per dire che aveva ragione Turati) e il loro ruolo determinante nella fine della prima Repubblica, non li ha mai fatti.  E dunque, paga il prezzo perché reticente e ambiguo nella definizione  della propria identità e memoria condivisa. E lo paga anche sul suo ruolo politico che invece di scegliere il socialismo democratico occidentale, se non nel nome, almeno nei suoi valori, come sarebbe stato naturale, in questi anni si è configurato  come un soggetto informe intriso di ideologie, di moralismo, buonismo, estremismo ambientalistico, giacobinismo, giustizialismo, e mantenendo, della cultura comunista, quel senso di superiorità antropologica e di criminalizzazione degli avversari politici, facilitata dalla egemonia culturale che il PCI ha saputo conquistare nel mondo accademico e intellettuale. Ma anche per questa sua reticenza e mancanza di identità, non si presenta mai con la propria faccia, cerca sempre legittimazioni altrove, insegue sempre le farfalle movimentiste (le Gilde, le Pantere, i Girotondi, il Gretismo, le Sardine). Emblematico anche questo centenario del PCI dove trionfa l’enfasi celebrativa e l’assenza di critica o autocritica; del resto, come ricorda Pier Luigi Battista nel suo libro “La fine dell’innocenza”, a proposito della equiparazione tra Nazismo e Comunismo: per  il comunismo si invocano sempre a beneficio nobili ideali, e quindi nonostante i macelli e gli errori tutti si autoassolvono. Eppoi il comunismo lo si giudica dal punto di vista dei carnefici (che avevano nobili ideali), mentre il nazismo lo si giudica dal punto di vista delle vittime”. Comunque, oggi vediamo come è mal ridotta la sinistra in Italia. E come è mal ridotta l’Italia (ancor più in questo periodo di pandemia), che ha un disperato bisogno di modernizzarsi, innovarsi, andare avanti; uscire da questa palude in cui si trova da 30 anni. Quel che resta della sinistra, in tal senso, oggi ha una grande responsabilità; deve trovare il coraggio di recuperare idealmente quella politica riformista avviata dal PSI, col primo centrosinistra e poi ampliata con   Bettino Craxi che ha avuto anche il merito di modernizzare la sinistra per modernizzare il Paese, e quindi fare i conti con quella storia. Questo significa essere più liberali, aprirsi alle professioni, al merito, alla creatività, alle responsabilità individuali; avere una idea moderna e dinamica di libertà civile, economica, politica, contro tutte le caste e le burocrazie (soprattutto quelle giudiziarie) che la frenano. Finirla con le ideologie, con la cultura del piagnisteo e della retorica espressi da una società che sembra non credere più nel futuro, non sembra credere più nelle idee e nelle capacità dell’uomo e della scienza di affrontare e risolvere i problemi, sempre più complessi, che investono gli uomini, la società, la terra.